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Il Ponte di Paderno d'Adda

Orobie  Novembre 2000

L’Eiffel dell’Adda

 

Ha 110 anni il grandioso ponte che scavalca il fiume a Paderno, una delle prime strutture in ferro dopo la celebre torre parigina.
Un capolavoro d’ingegneria, che ancora oggi si fa ammirare per l’arditezza dell’arco, lungo 150 metri



Testo di Emanuele Roncalli 



"Che spettacolo strano e imponente! Campato come in aria, sopra l'abisso, mi sembra d'essere diventato leggero e di volare. Giù in fondo, i vortici dell'Adda spumeggiano e s'incalzano, fortemente rumoreggiando, ma non li temo. Pare quasi che imprechino a chi con tanto lavoro ardito ha saputo appianare e ricongiungere distanze scavate dai secoli".

Più di centodieci anni fa, un cronista de "L'Eco di Bergamo" così descriveva, con un linguaggio più aulico che giornalistico, la cerimonia di benedizione del ponte San Michele, uno dei più celebri monumenti dell'architettura in ferro dell'Ottocento, tanto da essere paragonato all'arditezza della Tour Eiffel.

Oggi il viadotto, che aprì una nuova direttrice commerciale fra il Novarese, il Gottardo, la Brianza e il Bergamasco, regala le stesse emozioni provate dal cronista di casa nostra a quanti lo percorrono a piedi e vi sostano al centro per ammirare, non senza un po' di batticuore, le rapide del fiume e il pittoresco paesaggio della vallata. Un panorama unico che taluni hanno rivisto nei fondali delle più celebri opere di Leonardo da Vinci (soggiornò a Villa Melzi d'Eril a Vaprio), uno scenario di estrema suggestione impressionato da centinaia di migliaia di pellicole di fotoamatori e reporter e preso a prestito da documentaristi e cinematografi.

La realizzazione del ponte, fra il 1887 e il 1889, destò allora l'ammirazione di tutta Europa e presto il viadotto comparve sui più autorevoli trattati di ingegneria civile, nel rango dei maggiori ponti ad arco del mondo: quelli sul Mississipi, sul Douro, sulla Truyère, sullo Schwarzwasser. Merito soprattutto dell'eleganza delle proporzioni, dell'accuratezza del progetto (magistrale applicazione della teoria dell'ellisse di elasticità) della perfezione costruttiva con cui fu compiuto dalla Società nazionale delle Officine di Savigliano.

Oltre un secolo di storia è transitato sul ponte San Michele. E in primo luogo la storia dei trasporti e delle comunicazioni: dai muli ai carri trainati, dalle carrozze alle prime quattroruote a motore, dalle lente e sbuffanti locomotive a vapore ai treni regionali. Il traffico veicolare e ferroviario nel corso degli anni è aumentato in modo esponenziale, ma la decisione di mettere in pensione il viadotto ultracentenario, tanto dibattuta e auspicata, è sempre rimasta nelle buone intenzioni. Certo, se si guarda oltreconfine non si può comunque dimenticare che altri ponti coevi o forse pure più vecchi del San Michele appaiono, dopo opportuni interventi di restauro, come vie di comunicazione perfettamente funzionali e in piena efficienza. Basta ricordare i ponti ferroviari in ferro di Conway e di Windors in Inghilterra (quasi 300 anni in due), o viadotti di Saltash e di Langon in Francia (ognuno ha oltre 130 anni).

Per il viadotto fra Calusco e Paderno il discorso appare ben più complesso. E da quando, una decina di anni fa, è stato posto sotto tutela della Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici della Lombardia, e più recentemente inserito nello scenario fluviale dell'Adda come patrimonio dell'Unesco, le difficoltà di intervento sono aumentate. La storia del viadotto è costellata di discussioni, cifre, calcoli, aneddoti, senza dimenticare la leggenda secondo cui l'artefice dell'ardita opera, il progettista svizzero Giulio Röthlisberger, morì lanciandosi dall'alto del San Michele nel timore che il ponte crollasse. In realtà l'ingegnoso ideatore non morì nelle gelide acque dell'Adda, ma nella terra che gli diede i natali, a causa di una polmonite.

Risalendo alle origini del ponte e meglio all'idea di "saltare" l'Adda, confine naturale e politico, si arriva all'Unità d'Italia. Con il riordino della rete ferroviaria italiana, allora gestita a gruppi da piccole e medie società, si iniziò a parlare di un viadotto fra Calusco e Paderno. Lo scenario ferroviario di allora non era particolarmente funzionale. Nord, centro e sud erano sostanzialmente divisi, Sicilia e Sardegna non avevano nemmeno i binari. In Lombardia, sotto il Regno Lombardo-Veneto, la prima linea ferroviaria fu il tronco Milano-Monza inaugurato nell'agosto 1840 e solo vent'anni più tardi (lasciate alle spalle barriere politiche e territoriali) si diede inizio a un completamento della rete. E in tale contesto non poteva mancare la questione dell'attraversamento dell'Adda. Lo sviluppo industriale nella zona del medio e alto corso del fiume, stava incrementandosi assumendo proporzioni rilevanti. A Paderno si concentravano importanti industrie seriche. Gli opifici per la lavorazione della seta, le filande per l'estrazione del filo dal bozzolo, i filatoi e gli incannatoi per le torsioni del filo e la raccolta su rocchetti furono le prime fasi di lavorazione dei nuovi insediamenti industriali. Sulla sponda bergamasca nel frattempo nascevano altri complessi produttivi. Pertanto, quando si ipotizzò la realizzazione del tronco ferroviario Usmate/Carnate-Ponte San Pietro, che avrebbe portato scambi e sviluppo economico fra le due provincie, balzò all'occhio degli addetti ai lavori la difficoltà di attraversare il maggiore affluente del Po, l'Adda appunto, quarto fiume più lungo d'Italia.

Inizialmente l'Ufficio della Direzione Governativa pensò di realizzare l'opera con una travata di ferro rettilinea, sopra cui scorresse la ferrovia e sotto la strada carrabile. La Società per le Strade Ferrate Meridionali (stava completando il tronco Usmate-Paderno) ebbe l'incarico di studiare una soluzione. In quel periodo la Società nazionale delle Officine di Savigliano, che dal 1885 al 1886 aveva già realizzato ponti sull'Adda a Trezzo, sul Po a Casale Monferrato, sul Tanaro ad Asti, si dimostrò interessata all'opera, per cui chiese di concorrere al progetto. Nello stesso tempo un'altra azienda nazionale si fece avanti. Quattro furono i progetti presentati e il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici scelse la soluzione delle Officine di Savigliano. Il piano iniziale, dodici tavole presentate nel marzo 1886, venne rivisto e modificato. La corda dell’arco passò da 145 a 150 metri, la lunghezza della travata da 224 a 266 metri. Il 22 gennaio 1887, a Roma, venne firmato il contratto in base al quale le Officine si impegnavano a eseguire l’opera in 18 mesi. Costo dei lavori: 1.850.000 lire per il ponte, più 128.717,50 lire per le trincee di accesso.

La prima fase prevedeva la realizzazione di un ponte di servizio in legno, per il quale occorsero 2000 metri cubi di legname dell’alta Baviera. Nello stesso tempo, vennero eseguiti gli scavi per le fondazioni delle spalle dell’arcata, realizzate con pietra di Moltrasio trasportata da Lecco su barconi lungo l’Adda. Altro materiale (ghisa) venne importato dalla Germania. L’arco fu completato nel febbraio 1889 con l’applicazione di 100.000 chiodi ribaditi. Ai lavori parteciparono 470 operai, alcuni dei quali - come ricordano le cronache del tempo - persero la vita durante l’intervento. Il ponte fu ultimato nel marzo 1889; la verniciatura slittò all’estate 1890. Nel maggio 1889 giunse il fatidico momento del collaudo con l’attraversamento del viadotto da parte di un treno (3 locomotive e 30 vagoni) a 40 km/h. "Le tre poderose macchine avanzano a velocità vertiginosa - annotava un cronista de L’Eco di Bergamo - non hanno ancora abbandonato una sponda che il fischio fortissimo avverte già d’aver raggiunto l’altra. Il ponte è compiuto!" Un secondo collaudo fu eseguito nel 1892 in quanto l’anno prima erano stati introdotti nuovi tipi di locomotore. La stabilità della struttura fu messa a dura prova nel periodo bellico. Nel ’44 e nel ’45 l’arco non subì danni rilevanti, ma dopo la riparazione provvisoria del Comando militare, seguirono lavori alle campate della trave ultimati nel ’50. Di recente è stato segnalata la presenza di una bomba sul fondale dell’Adda, risalente alla seconda guerra mondiale; ritenuta innocua, è lasciata sonnecchiare sotto le acque.

Oggi la sorte dell’ultracentenario viadotto rimane ancora un mistero. Una decina di anni fa, in occasione dei festeggiamenti per le cento candeline del San Michele, si sprecarono le manifestazioni e i discorsi: concerti, mongolfiere, carabinieri a cavallo, discese e risalite a corda, aerei acrobatici, fuochi d’artificio e poi fiumi di parole sul pensionamento del ponte. Più nulla. Il progetto De Miranda, vincitore del concorso nazionale, è rimasto nei cassetti. La soluzione prevedeva un grande arco in cemento armato gettato su un’unica grande luce di 270 metri per un costo di 42 miliardi. Il ponte fa ora parlare di sé per gli acciacchi, per i continui rattoppi e anche per la spericolatezza di tanti giovani che, fino a poco tempo fa, si gettavano dal viadotto legati a una corda elastica. Ma chi è alla ricerca di emozioni forti può starsene più comodamente seduto su una delle sponde, al calar della sera. Il San Michele tutte le notti dà spettacolo con il suo magico intreccio di ferro illuminato dai fari.

Emanuele Roncalli



Il ponte in cifre



Corda dell’arco………………………………………..…. ……..150 m.
Lunghezza travata………. ……………………………………...266 m.
Larghezza carreggiata stradale……………………………………..5 m.
Altezza travi maestre…………………………………………... 6,25 m.
Dislivello strada provinciale-binari ferroviari…………………. 6,30 m.
Operai partecipanti all’impresa………………………………… 470
Costo costruzione viadotto……………………………………… lire 1.850.000
Costo trinceee di accesso al al ponte……………………………. lire 128.717,50
Legname per il ponte di servizio………………………………... 2.000 mc.
Tempo realizzazione ponte di servizio…………………………. 11 mesi

Collaudo provvisorio
sovraccarico sulla strada 3,9 t/m
sovraccarico sui binari 5,1 t/m
prove dinamiche con un treno di 3 locomotive
di peso 83 t (ciascuna),
più 30 vagoni del peso complessivo superiore a 600 t;
percorrenza del viadotto: 3 volte a velocità crescente da 25 km/h a 45 km/h

Collaudo definitivo
sovraccarico sulla strada 437,94 t, pari a 5120 kg/m
prove dinamiche con un treno di 4 locomotive
e 30 vagoni del peso complessivo di 249 t;
percorrenza del viadotto:
3 volte a velocità crescente da 25 km/h a 49 km/h

Il progettista

Nato a Neuchatel il 17 febbraio 1851, Giulio Rothlisberger compì gli studi al Politecnico di Zurigo dove apprese gli insegnamenti della Statica Grafica di Culmann. Diplomatosi nel 1872, si dedicò alla progettazione di costruzioni metalliche presso la Ott & C. di Berna. Disegnò con Paul Simons e Moritz Prohst arditi viadotti a pile metalliche. Nel 1885 passò alle Officine di Savigliano dove per 25 anni fu Capo Ufficio Tecnico: lavorò alla progettazione di ponti che trovarono realizzazione in Italia, Svizzera, Ungheria e Romania. Agli inizi del Novecento una malattia lo costrinse a lasciare l’incarico. Morì a 60 anni, il 25 luglio 1911, a Chaumot colpito da una polmonite.

LA MALEDIZIONE DEL PONTE SAN MICHELE

Le leggende metropolitane sono quelle storie considerate troppo belle per non essere vere. Chi le racconta giura e spergiura che sono accadute in quel dato posto e che un suo amico di cui si fida ciecamente ne è stato testimone diretto. Non sono fatti veri, ma verosimili.
C’è tuttavia una leggenda metropolitana che sfugge a questa regola dell’indeterminatezza, che al contrario di tutte le altre leggende ha tutti i dettagli che servono per circoscrivere la storia e che dura oramai da più di un secolo. Stiamo parlando del ponte di Paderno d’Adda e della leggenda della morte del suo inventore, che si sarebbe buttato di sotto il giorno dell’inaugurazione per paura di un crollo.
In realtà è deceduto di polmonite nel 1911, ma un'aurea di sventura pare aleggiare su una delle più importanti opere dell'era industriale.
Nel maggio del 1889, un treno di 3 locomotive e 30 vagoni attraversava l’Adda fischiando con orgoglio all’incredibile velocità di 45 chilometri orari, sul più grande ponte al mondo. Era il primo collaudo del Ponte di Paderno, che la Società Nazionale delle Officine Savigliano aveva realizzato su progetto dello svizzero Julius Röthlisberger. Stessi anni e stessa ardita tecnologia impiegate da G. Eiffel per la Torre di Parigi: un viadotto celebrato per la perfezione costruttiva ma anche per la sua eleganza.
E fin qui va tutto bene, sembra una storia assolutamente normale.
Tuttavia, guardando bene fra le pieghe del giorno dell’inaugurazione qualche indizio salta fuori. Il primo è legato al meteo. Il ponte di Paderno fu infatti inaugurato in una piovosissima giornata di fine maggio. L’acqua veniva giù a catinelle, un vero diluvio, che però non fermò le prove di carico. Durante il passaggio del treno che serviva a testare la tenuta, uno degli operai che stavano ancora lavorando fra i tralicci scivolò, perse l’equilibrio e cadde nel vuoto. Per un attimo sembrò che potesse evitare il volo. Una fune penzolante gli aveva offerto un appiglio, ma la presa dell’uomo non fu abbastanza ferrea e così finì nell’Adda con un tonfo sordo. Tutti si aspettavano di vedere riemergere un cadavere e invece, miracolo: l’uomo era incredibilmente vivo. Mezzo ammaccato e stordito dall’impatto con l’acqua, ma vivo. Qualcuno che cadde dal ponte ci fu, dunque.
Scrivevano i giornali dell’epoca: “Il giovane ingegnere ci raccontava quanto grande era la diffidenza, anche in molte persone dell’arte, circa la riuscita dell’impresa. Non parliamo poi di timori profani. Vedrete, dicevano questi, vedrete quante disgrazie”.
A questa atmosfera, si sommò poi negli anni a venire un numero crescente di suicidi che scelsero il ponte come luogo dove porre fine ai loro giorni. Uno, in particolare colpì l’immaginario collettivo e tenne banco sui giornali dell’epoca per diversi giorni. Fu la scomparsa della contessa Barni, una nobildonna di Bergamo, che nell’autunno del 1906 sparì improvvisamente da casa. Sul ponte di Paderno vennero trovati alcuni suoi indumenti, così che immediatamente venne ipotizzato un suo malsano gesto. Per giorni carabinieri e guardie forestali cercarono il suo corpo nell’Adda, senza però trovarlo mai. Fino a che due settimane dopo la sparizione, la contessa ricomparve a Merate a casa della madre. Non si era suicidata, ma ci era andata molto vicino e solo la sua fede l’aveva trattenuta dal saltare oltre le protezioni.
Risalgono a pochi anni fa le polemiche legate alla necessità di innalzare le protezioni e di vietare l’accesso ai pedoni ed è di poco tempo fa la decisione di chiudere tutto per problemi statitici.
Dal 2000 ad oggi sono almeno una cinquantina coloro che hanno scelto di farla finita buttandosi dal ponte di Paderno, provenienti da ogni angolo di Lombardia e anche oltre. L'acqua del fiume sottostante, dopo un volo di una manciata di secondi, si compatta come un muro di cemento e non lascia scampo.
Il ponte di Paderno rimane comunque uno dei luoghi più suggestivi di tutta la Lombardia, un posto dove è possibile ammirare l’imponenza di quell’opera, che diventa addirittura maestosa se la si osserva dal basso, dalla pista ciclabile che corre lungo l’Adda attraverso quegli scorci naturalistici che ispirarono alcuni dei più bei dipinti di Leonardo Da Vinci.

storiedimenticate.it

Il ponte di Paderno d’Adda

È considerato un capolavoro di archeologia industriale e viene spesso paragonato alla coeva Torre Eiffel, eretta nel 1887 con analoghe tecnologie. Entrambe le strutture assursero, all’epoca della loro costruzione, a simbolo del trionfo industriale.
La nuova copertina di Archeologia Ferroviaria è dedicata al Ponte di San Michele, noto anche come ponte di Paderno e, un po’ meno, come ponte Röthlisberger dal nome del suo progettista, l’ingegnere svizzero Jules Röthlisberger (Neuchâtel 17 febbraio 1851- Chaumot 25 agosto 1911) all’epoca direttore dell’ufficio tecnico della SNOS, Società Nazionale Officine di Savigliano, che lo realizzò.
Laureatosi in ingegneria all’Eidgenössische Technische Hochschule Zürich nel 1872, Röthlisberger collaborò in Svizzera con importanti società di progettazione e costruzione tra cui la bernese Gottlieb, per la quale progettò il Kirchenfeldbrücke, inaugurato nel settembre 1883 e che attraversa il fiume Aar collegando la collina di Kirchenfeld con il centro di Berna. Nel 1883 il Röthlisberger aprì uno studio di ingegneria a Milano e nel 1885 divenne ingegnere capo alla Società Nazionale Officine di Savigliano a Torino per la quale, oltre al Ponte di San Michele, progettò numerosi ponti in acciaio in Italia, Ungheria e Romania.
Il ponte di San Michele, che supera il fiume Adda, è lungo 266 metri e si eleva di 85 sul pelo dell’acqua. La struttura, interamente chiodata e priva di saldature, è formata da un’unica campata in travi di ferro da 150 metri di corda, che sostiene mediante 7 piloni metallici un’impalcatura a due livelli di percorribilità: la prima ferroviaria e la seconda, elevata sulla precedente di 6,3 metri, per la viabilità stradale che consta in una corsia larga 5 metri collegante le province di Lecco e Bergamo.La scelta di un’unica campata fu dettata dalla particolare forma della gola da scavalcare, molto stretta e profonda, e dall’intento di non intralciare la navigazione fluviale. Le opere cementizie e murarie di appoggio, i plinti ed i contrafforti di sostegno sono costituiti da oltre 5.000 metri cubi di pietra di Moltrasio e da 1.200 metri cubi di granito di Baveno.
Il primo progetto, affidato alla Società per le Strade Ferrate Meridionali che aveva in carico la costruzione del tracciato ferroviario, venne scartato a favore di quello presentato nel marzo 1886 dalla SNOS, che realizzò il manufatto tra il 1887 e il 1889 impiegando 470 operai.
L’attività del cantiere iniziò costruendo un primo ponte di servizio, per il quale furono utilizzati 1.800 metri cubi di pino importato dalla Baviera. Il granito e la pietra necessari per la realizzazione di plinti e fondamenta perveniva in sito trasportato per via fluviale mediante chiatte.Le 2.515 tonnellate di ferro e le 110 di ghisa utilizzati provenivano da fonderie tedesche e venivano lavorati a Savigliano; i moduli da assemblare per costruire la struttura venivano trasferiti a Paderno per ferrovia e montati in opera tramite una funicolare appositamente realizzata.
Nel marzo 1889 il ponte fu ultimato e nel maggio avvenne il collaudo, effettuato facendo transitare alla velocità di 25, 35 ed infine 45 km/h un treno composto da 3 locomotive da 83 tonnellate l’una e trenta vagoni per complessive 850 tonnellate.
Una leggenda, che ancora oggi gode di un certo credito, vuole che l’ing. Röthlisberger, temendo il fallimento dell’impresa, si suicidasse gettandosi dal ponte il giorno precedente a quello dle collaudo. In realtà morì di di polmonite nella sua dimora di Chaumot, vicino Parigi, il 25 agostoo 1911.
Devo dire che percorrere la strada ciclopedonale che si snoda sulla destra idrografica del fiume ed osservandone da sotto la possente mole, il manufatto mette una certa inquietudine. Infine una curiosità: viene spesso confuso con il ponte potagonista del film Cassandra Crossing, che invece è il viadotto di Gabarit.

 

Lorenzo Pozzi

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